a cura di Giovanni De Donno e Benedetta Paladini
La legge n. 81 del 2017, entrata in vigore il 14 giugno c.a., prevede un’articolata disciplina relativa allo “smart working”, o “lavoro agile” (precisamente, agli artt. 18 – 23).
Trattasi di una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa subordinata, in forza della quale il lavoratore svolge la propria attività lavorativa in parte in azienda e in parte all’esterno di essa, ad esempio, presso la propria abitazione o, in altri luoghi da lui prescelti, ovvero concordati col datore di lavoro, senza che vi sia una postazione fissa e senza precisi vincoli di orario.
Lo smart working è, infatti, uno strumento concepito per incrementare la competitività e per agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Pertanto, in quanto tale è stato introdotto in via sperimentale in alcune importanti aziende già prima dell’approvazione della Legge suddetta (si pensi a Nestlè, Snam, Barilla, etc.).
L’utilizzo di strumenti tecnologici che connettano a distanza il lavoratore (computer, tablet, etc.) non è considerato dalla legge obbligatorio per lavorare in modalità di “smart working”, ma concretamente questa è e, sarà, la modalità prevalente. Tale strumentazione deve essere fornita dal datore di lavoro, che è anche responsabile della sua sicurezza e buon funzionamento e, vige sul medesimo l’obbligo di informare il lavoratore e il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza circa rischi generali e specifici, connessi con la modalità di lavoro “agile”. E’ compito del lavoratore, a sua volta, cooperare per l’attuazione delle relative misure di prevenzione e protezione.
Affinché si possa lavorare in modalità agile è necessario un accordo specifico tra le parti (accordo individuale), che può essere inserito già nel contratto di assunzione ovvero, essere raggiunto in itinere. L’accordo deve avere forma scritta, ai fini probatori e della regolarità amministrativa. Un accordo solo verbale sarà di per sé valido, ma in un eventuale giudizio la parte che vorrà farlo valere non potrà avvalersi di testimoni per dimostrarne l’esistenza e il contenuto.
Il medesimo, inoltre, può essere a termine o a tempo indeterminato, con facoltà di ciascuna delle parti, in quest’ultimo caso, di recedere con un preavviso non inferiore a 30 giorni (90 giorni in caso di recesso da parte del datore di lavoro nei confronti di lavoratori disabili). E’ previsto il recesso senza preavviso in caso di patto a tempo indeterminato, purché vi sia un “giustificato motivo”. Questo, da parte dell’azienda, può essere rappresentato da una ragione di tipo tecnico, organizzativo o produttivo che renda non più utilizzabile o non economica la prestazione “agile”, ovvero anche dallo scarso rendimento o negligenza del dipendente, quale smart worker . Da parte del lavoratore, invece, potrà aversi un giustificato motivo, come il venire meno, per ragioni oggettive e non riconducibili a un mero ripensamento, delle esigenze familiari o personali che lo avevano portato a lavorare in modalità agile.
Quanto al contenuto del patto, la legge lascia libere le parti di accordarsi circa la quantità e le modalità della prestazione da rendersi fuori dall’azienda, ma con alcuni limiti e punti fermi.
Lo smart worker ha sicuramente diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei colleghi che lavorano esclusivamente all’interno dell’azienda.
Anzitutto, dovranno essere rispettati i limiti massimi di durata del lavoro giornaliero e settimanale previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva: quindi la mancanza di “vincoli di orario” riguarderà solo la collocazione nella giornata delle ore di lavoro, e non la loro quantità complessiva. Le ore di lavoro straordinario dovranno essere retribuite come tali, e il dipendente dovrà osservare il periodo minimo di 11 ore di riposo continuativo ogni 24 ore, previsto dal D. Lgs. 66/2003. Inoltre, l’accordo dovrà individuare i tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la sua “disconnessione”, regolando l’esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa all’esterno dei locali aziendali, nel rispetto del divieto di controlli a distanza.
Preme precisare che, il nuovo articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, L. n. 300 del 1970, non legittima l’uso di software dedicati per il monitoraggio della prestazione lavorativa e, come plus aggiuntivo, contiene un rinvio alla normativa contenuta Codice della Privacy, imponendo al datore di lavoro una dettagliata informativa su presupposti e modalità di trattamento dei dati, oltre che vietando un controllo indiscriminato e continuativo sulla prestazione espletata dal dipendente. Allo stesso lavoratore, però, sempre a garanzia della privacy, potrà essere imposto l’obbligo di escludere i “luoghi pubblici” dal novero di scelta circa la sede di lavoro in smart working.
Continuando, l’accordo sul lavoro agile deve individuare i comportamenti legati allo svolgimento del lavoro fuori dai locali aziendali, che possono comportare l’applicazione di sanzioni disciplinari. In difetto di tali indicazioni, è lecito ritenere che le sanzioni inflitte dovranno considerarsi illegittime (a meno che gli stessi comportamenti non siano già previsti nel Codice disciplinare, applicato alla pluralità dei dipendenti).
Infine, la legge precisa che lo smart worker ha diritto alla tutela Inail per i rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dell’azienda e, per gli infortuni occorsi durante il percorso che lo condurrà dall’abitazione al luogo prescelto per lo svolgimento del lavoro e, viceversa, a patto che la scelta di quest’ultimo sia ragionevole e dettata da esigenze legate alla prestazione lavorativa o personali, legate al lavoro.